La Rosa Nera

Angela Maria Santarosa

Sono una che crede alle cose impossibili, lasciate le vostre idiozie a casa vostra o nel vostro cesso

Zucchero di sughero

Dono ai dionisiaci

Nel ventre umido della cantina,
tra sussurri di legno e ombre di mosto,
giace il tappo di sughero,
custode di segreti e dolcezze nascoste.

Dal suo cuore poroso sgorga
un miele amaro: zucchero di sughero,
dolcezza che nasce dalla resa del legno,
carezza ruvida del tempo.

Ah, Baudelaire, maestro degli umori e delle agonie,
tu avresti chiamato questo zucchero
“pietra filosofale dei sensi”,
trasformando la volgarità del tappo
in dolcezza segreta.

“Il vino sa vestire di porpora
la miseria dell’uomo…”

Così lo zucchero di sughero
si posa sulle mie labbra,
non come un dono,
ma come una condanna gentile.

Mi narra di baci mai dati,
di notti sprecate a bere lacrime,
di labbra tremanti
che implorano l’alba.

Eppure, in questa dolcezza silenziosa,
trovo un rifugio:
un altare eretto nella polvere,
dove sacrifico l’eco dei miei peccati.

Zucchero di sughero,
dolcezza che consola il silenzio,
che danza con le mie ombre
e le veste di luce incerta.

Io t’amerò come si ama la ferita:
con la lingua che cerca la memoria,
con la sete che non ha voce.

E quando il bicchiere sarà vuoto,
quando il vino avrà detto il suo addio,
tu — zucchero di sughero —
sarai la promessa mai sussurrata,
il bacio che resiste all’oblio,
la dolcezza che nasce
dalla rovina stessa.

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