La Rosa Nera

Angela Maria Santarosa

Sono una che crede alle cose impossibili, lasciate le vostre idiozie a casa vostra o nel vostro cesso

RESILIENZA – Manifesto per chi muore ogni giorno e si rialza

Viviamo in un mondo dove la morte non è un evento.
È un’abitudine.
Moriamo piano, a rate, ogni giorno.
Muoiono le donne nelle case che nessuno ascolta.
Muoiono gli uomini che non possono piangere.
Muoiono i bambini troppo sensibili per questo mondo marcio.
Muoiono le madri svuotate, i padri annientati dalla vergogna.
Muoiono gli ammalati mentali sedati, evitati, dimenticati.
Muoiono gli amori non conformi, i corpi non allineati, i cuori disobbedienti.

E noi zitti.

Zitti a scuola, zitti a lavoro, zitti nei post, zitti davanti alla televisione.
Zitti mentre l’ingiustizia ci cava gli occhi col cucchiaino del perbenismo.

Resilienza in questo mondo non è una scelta.
È necessità.
È atto politico.
È sabotaggio dell’oblio.
È disobbedienza alla morte perpetua.

Ma non è una parola comoda.
Non è yoga e meditazione con la copertina.
È urlo strozzato, fiele, spari nei sogni, carne che si ribella.

Questa è la storia di Lara.
O di chiunque abbia urlato in una stanza chiusa,
senza che nessuno sentisse.

Lara è stata violata.
Dal suo carnefice, ma anche dalla legge, dalla famiglia, dalla cultura del silenzio.

Ha implorato, ha pianto, ha digiunato, ha scritto lettere mai lette,
ha cercato Dio e ha trovato solo un’eco.
Poi ha cominciato a colpevolizzarsi.
La violenza più profonda. Quella che ti dai da sola.

È stata brava. Educata. Pulita. Gentile. Morta.
Ha detto sì con lo sguardo spento.
Ha sorriso mentre si sbriciolava.
Ha fatto sesso senza esserci.
Ha cresciuto figli mentre cadeva dentro.

Fino a quando non ha scalciato via tutto.
Ha imbastardito la sua rinascita.
Ha rotto i vetri, urlato nei supermercati, sputato sulla morale.
Ha fatto quello che le donne “perbene” non fanno.
Ha urlato: “MI AVETE UCCISA, ORA MI TOCCA VIVERE”.

E ha cominciato a rinascere.

Rinascere non è bello. È sudore, vomito, sangue, febbre. È cenere.
Ha raccolto i suoi rimpianti, li ha bruciati uno ad uno.
Ha smesso di cercare approvazione.
Ha smesso di voler guarire per gli altri.
Ha cominciato a viversi tutta. Persino quella parte che odia.
Lara oggi non è santa.

È sopravvissuta.

Non è pulita Lara. È vera.
Non è equilibrata. È completa.
Non è gentile. È giusta.

E ora, da quella ferita, da quel buco nero,
dà la mano a chi ancora sprofonda.

Perché resilienza è altruismo con le viscere in mano.
È gridare: “NON MORIRE, TI AIUTO IO.”
La resilienza vera somatizza.
Sputa fuori il trauma. Lo porta in corteo.
Si mette i vestiti stracciati e sale su un palco.
Fa teatro della carne e della vergogna.
Urla con la voce rotta.
Canta con il diaframma rotto.

Scrive con le mani che tremano.
La resilienza spara. Non coi fucili.
Ma con le parole giuste al momento giusto.
Con la poesia che squarcia.
Con l’abbraccio che salva.
Con lo sguardo che non ha paura della follia.

Se bevi troppo,
se non ti alzi dal letto,
se odi tuo padre, tua madre, il tuo corpo, Dio,
se pensi che non vali niente — sei ancora vivo.

E vivi sono i tuoi spari, le tue cadute, il tuo puzzo, la tua fame,
la tua rabbia santa, la tua nudità inutile, la tua verità.

La resilienza non ti chiede di guarire.
Ti chiede di non arrenderti.
Ti chiede di trasformare la morte in strumento.
Il dolore in forma.
Il caos in arte.

La tua storia in un manifesto.

Fatti cenere.
Poi fiorisci.
Poi svincolati.
Poi fatti madre.
Poi fatti nemico del sistema.
Poi fatti amico di chi grida.
Poi sii anche chi cade di nuovo, ogni giorno.

E quando qualcuno ti chiederà
“Come hai fatto?”,
rispondi:
“Non ho fatto. Sto ancora facendo.
E lo rifarei mille volte. Perché la mia vita vale.
E anche la tua.”

E allora adesso,
tu che sei qui, con il cuore un po’ più aperto, con lo stomaco girato e la pelle calda di memoria,
io ti chiedo di restare. Ma nudo. Vivo. Vero.

Ma voglio farti ancora delle domande e rispondimi sinceramente, io non ho pregiudizi:

“Chi eri prima di essere ciò che ti hanno chiesto di diventare?

Chi sei dietro la maschera da adulto, da madre perfetta, da uomo risolto, da ragazza forte?

Chi ti ha insegnato a non disturbare, a non piangere, a non pretendere amore?

Quando hai smesso di ballare?

Quando hai iniziato a chiedere scusa per esistere?

Cosa ti hanno tolto, senza che tu abbia mai avuto il coraggio di reclamare?

Quanti pezzi di te hai regalato per essere accettato?

Quante volte ti sei venduta per un abbraccio?

Hai mai chiesto perdono a te stessa per tutto ciò che hai taciuto?

E adesso…

Dimmi:
Quando è stata l’ultima volta che ti sei sentita libera davvero?
Non comoda.
Non tranquilla.
Libera.
Senza paura del giudizio. Senza doverti correggere.
Senza il timore di essere “troppo”, “sbagliata”, “fuori luogo?

Hai mai avuto il coraggio di urlare mentre tutti ti chiedevano di abbassare la voce?

E se lo facessimo adesso, insieme?

Tu da lì, io da qui.

Senza microfono, senza filtro, senza la fottuta grazia sociale.

Urla. Scrivi. Tatuati addosso la tua risposta.

Che cosa non permetterai mai più?

Cosa proteggi con i denti?

Cosa sei disposto a distruggere pur di ricostruirti?

Chi sei disposto a diventare, pur di non tornare indietro?

Cosa ami così tanto da voler cambiare tutto per difenderlo?

Per chi stai ancora respirando?

Chi vorresti stringere una volta, solo una, per dire: “Ce l’ho fatta?

E chi vorresti perdonare, ma non riesci ancora a farlo?

E poi dimmi:
Hai mai pianto per uno sconosciuto?
Hai mai sentito una storia e pensato: “Sono io?

Hai mai avuto la voglia, vera, disperata, urgente, di cambiare il mondo anche solo per uno,
per uno solo che non ce la fa più?

Se sì, allora sei dei nostri.
Se sì, allora non sei solo.
Se sì, allora questa guerra è anche tua.

Perché resilienza non è solo sopravvivenza.
È eredità. È semina. È fuoco che si passa di mano in mano.

Rispondi.

Scrivimi. Gridami. Sussurrami.
Raccontami chi sei sotto tutti quegli strati.

Io li vedo.
Li onoro.
E ti tengo la mano mentre li sciogli. Ti passo il balsamo della mia esperienza. Ti abbraccio.”

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