La Rosa Nera

Angela Maria Santarosa

Sono una che crede alle cose impossibili, lasciate le vostre idiozie a casa vostra o nel vostro cesso

Manuale pratico per rompersi con grazia (e dignità discutibile)

Oh, io ve lo dico.
Non è una minaccia, eh. È proprio una domanda seria:
e se mi rompo, che si fa?

Mi portano in ferramenta? Mi appendono un cartello tipo “torno subito, sono in crisi esistenziale?”
C’è un servizio clienti dell’anima, con musichetta d’attesa e risposte standard tipo: “La sua disperazione è molto importante per noi. Resti in linea”?

Perché io lo sento, lo so: sto cedendo a tratti.
Scricchiolo nelle giunture del cuore, ho le emozioni sfilettate come il merluzzo Findus e l’autostima in saldo da anni.

Mi sveglio e ho già lo sguardo di chi ha fatto la guerra in sogno.
Il caffè mi guarda perplesso, lo specchio pure.
E io, nel dubbio, saluto tutti con un “buongiorno” che sembra più un testamento morale.
Sembro viva, ma in realtà sto andando avanti per inerzia emotiva e biscotti secchi.

E non è solo fisico, eh.
È proprio esistenziale.

Tipo, la mia mente ha deciso di trasformarsi in un centro commerciale il 24 dicembre: confusione, luci intermittenti e un bambino urlante nella corsia delle scelte sbagliate.

Poi il cuore. Ah, il cuore mio.
Una roba meravigliosa, sì, ma completamente anarchica.
Ama a sproposito, si emoziona per pubblicità dei detersivi, si offende se qualcuno mi guarda male in ascensore.
E io a rincorrerlo con la dignità che mi resta, tipo: “scusa, cuore, ma puoi comportarti da adulto un attimo?”

Ma la parte migliore è che, con tutto questo disastro dentro, la gente mi dice:
“Angela, sei una forza della natura.”
Certo. Una natura devastata, tipo post-eruzione del Vesuvio, ma grazie del pensiero.

E allora mi chiedo, sul serio:
Se mi rompo, chi mi rimonta?
C’è un tutorial su YouTube?
Tipo: “Come riparare una donna che ha mangiato troppi silenzi e pochi abbracci”?
Lo cerco, non c’è.
C’è solo un video di un tizio russo che aggiusta un ferro da stiro con la vodka. E sinceramente, lo invidio.

Poi, però, ecco che succede.

Mi rompo.

Non in modo poetico.
No. Io mi rompo come si rompe la plastica cinese del porta-sapone dell’Eurospin:
di botto, con un rumore ridicolo e pezzi ovunque.
Una scarpa sotto il letto, un pezzo di dignità sul tappeto, un briciolo di pazienza nel forno a microonde.

E in quel momento lì — mentre sto raccogliendo i pezzi con la grazia di una gallina zoppa — realizzo una verità cosmica:

Io mi rompo apposta.

Sì. Proprio così.
Mi rompo per protesta.
Perché rompersi è l’unico modo che ho per non esplodere in mille convenzioni sociali.
Mi smonto per rimettere a posto le parti, magari stavolta lasciando fuori la parte che cerca approvazione da chi manco sa accendere la lavatrice.

E poi… rido.

Rido come una pazza.
Perché il vero miracolo è che, alla fine, cammino lo stesso.
Con il ginocchio che fa click, l’anima che cigola, ma pure una camminata fiera da donna che ha visto cose — e ha pure preso appunti.

E quando mi chiedono:
“Ma come fai ad andare avanti?”

Rispondo sempre uguale:
Con lo scotch, il mascara e il potere terapeutico delle caramelle gommose e frizzanti.

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