La Voce di Giorgia

Cammino per queste strade spoglie e vedo i manifesti, i comizi, i sorrisi forzati: la voce di Giorgia che rimbomba in ogni televisore, come un inno antico e familiare. È una voce che promette, che rassicura, che divide.
Ma dietro quella voce, io vedo un teatro: luci, applausi, slogan.
E vedo la paura che si cela dietro la fermezza, la solitudine dietro la forza ostentata.

La politica ha sempre bisogno di eroi e di mostri, e oggi Giorgia è entrambe le cose: per alcuni, la paladina della patria. Per altri, la maschera di un potere stanco e senza idee.


Ma io, cittadina e filosofo per necessità, la guardo come un riflesso delle nostre stesse paure.


Non è lei, in fondo, a spaventarmi:

è l’eco del vuoto che riempie con le sue parole.

C’è qualcosa di affascinante, quasi tragico, in quel suo parlare deciso. Una recita perfetta, un copione recitato con passione…


eppure, le parole, anche le più infuocate, non possono nascondere la verità:

la politica è un gioco di ombre, e chi regge la lanterna spesso si consuma per primo.

Mi chiedo, allora, se Giorgia sia davvero la regina di questo scacchiere, o solo un altro pezzo in balia dei venti.


La storia, dopotutto, divora i suoi figli più ambiziosi.

E così continuo a camminare, con la mia filosofia da marciapiede e le tasche vuote di illusioni.


Guardo la voce di Giorgia farsi eco nella folla e mi chiedo:
quante di queste urla resteranno, quando il sipario calerà?

La Voce di Giorgia (II)

Cammino ancora, e le parole di Giorgia e degli altri politici mi rimbombano nelle orecchie come un coro dissonante. Siamo tutti spettatori di questa commedia politica: loro, i protagonisti sul palco; noi, gli spettatori che applaudono o fischiano, ma restano sempre seduti.

Eppure, lo so: i politici, Giorgia compresa, sono persone come noi.
Hanno la stessa fame, la stessa paura, la stessa voglia di essere ascoltati.


Sono presenti e assenti allo stesso tempo, come fantasmi che abitano le stanze del potere e i nostri sogni di cambiamento.


Per molti, mancano al loro dovere; per altri, lo adempiono con disciplina e orgoglio.
E tutto questo non dipende da loro soltanto, ma dal pensiero politico di chi li elegge, di chi li giudica, di chi li immagina.

Quando i nostri eletti vengono meno alle promesse, persino l’elettore più paziente si indigna.
Perché la politica è fatta di parole e di speranze, e quando le parole si svuotano, anche i cuori più miti si riempiono di rabbia.

La politica attuale, diciamolo, fa venire il voltastomaco: un circo di slogan, un banchetto dove si servono illusioni a buon mercato…


ma Giorgia, no. Non è la politica a disgustarmi in lei.È il modo in cui viene trattata da chi non sa guardare oltre il ruolo.


Qualunque donna fosse a capo del governo, subirebbe lo stesso destino: declassata, insultata, messa alla gogna sia da destra che da sinistra…


perché in questo Paese, ancora oggi, il potere femminile è un bersaglio facile: le parole più feroci non attaccano le idee, ma il corpo, l’immagine.


Il body shaming, poi le battute sulla voce o sull’aspetto:

nulla che abbia a che fare con le responsabilità del governo, ma tutto a che fare con la miseria di chi guarda.

Io, cittadina e filosofo per caso, so che i politici non sono assassini.


Gli assassini veri appartengono a una civiltà che ha imparato a sabotare se stessa, giorno dopo giorno, con schemi assurdi e ripetitivi.


Una civiltà che si nutre di falsi complottoisti e di vere menzogne, e che finisce per uccidere la propria capacità di ragionare.


Sono i cittadini alienati a portare i fiori sulle tombe delle illusioni: noi stessi, persi in un labirinto di slogan e di verità a metà.

E così resto qui, con la mia filosofia da strada, tra la rabbia e la speranza.


Guardo Giorgia e gli altri, e mi ricordo che sono fatti della stessa carne, della stessa fragilità…


ma so anche che la loro voce, quando tradisce la promessa, diventa la nostra voce, tradita….


e allora continuo a camminare, a scrivere, a riflettere…


Perché finché avremo parole, avremo ancora un’arma contro la menzogna.

La Voce di Giorgia (III)

Cammino ancora, e il brusio della politica mi accompagna come un sottofondo stanco e rassegnata.
Questo ha causato disordine, perché in questo Paese — un Paese delle guerre che hanno distrutto le case degli assassini, degli stupri, delle dittature — non si conosce niente davvero.


Si racconta una storia da teatrino ronfante, un incubo in apnea, un apolitico assenso.


Tutto scorre come se fosse naturale: parole vuote, slogan, vecchie recite…


e intanto, ci convinciamo che la verità sia questione di fazioni, di maggioranza o minoranza, come se fosse una gara di numeri.

Ma la vera politica non appartiene ai partiti.
Non è fatta di poltrone, di incarichi o di sedute parlamentari.
La vera politica nasce dalle correnti letterarie e filosofiche che, fin dai tempi dell’antica Grecia, hanno cercato di migliorare la società.

Non mi azzardo a parlare di democrazia o di progressismo in termini assoluti, perché entrambi sono visioni parziali, incomplete.
Quello che sogno è un dialogo tra queste correnti, un incontro che le faccia collaborare, un movimento di idee che spezzi l’inerzia delle nostre menti.
Perché la politica vera — quella che costruisce — nasce dall’alleanza delle parole e dei pensieri, non dai proclami.

Non giustifico Giorgia. Non giustifico il governo.
Ma soprattutto non giustifico la maggioranza.
Siete dei poveri illusi se credete che maggioranza e minoranza siano solo in Parlamento.


Maggioranza e minoranza sono nelle piazze, nei bar, nei social.
Sono nella polis e nelle cavolate che raccontiamo ogni giorno.
Sono in quel teatro di illusioni che ci piace tanto, perché ci consola.


E allora finiamo per recitare anche noi, come marionette, e la verità si perde tra le risate di un pubblico che applaude a comando.

Io continuerò a camminare, con le tasche vuote di illusioni ma piene di domande.
Perché finché la parola resta viva, la menzogna non avrà l’ultima parola.

La Voce di Giorgia (IV)

Cammino ancora, e il brusio della politica mi accompagna come un sottofondo stanco e rassegnato.
Questo ha causato disordine, perché in questo Paese — un Paese delle guerre che hanno distrutto le case degli assassini, degli stupri, delle dittature — non si conosce niente davvero.
Si racconta una storia da teatrino ronfante, un incubo in apnea, un apolitico assenso.
Tutto scorre come se fosse naturale: parole vuote, slogan, vecchie recite.
E intanto, ci convinciamo che la verità sia questione di fazioni, di maggioranza o minoranza, come se fosse una gara di numeri.

Ma la vera politica non appartiene ai partiti.
Non è fatta di poltrone, di incarichi o di sedute parlamentari.
La vera politica nasce dalle correnti letterarie e filosofiche che, fin dai tempi dell’antica Grecia, hanno cercato di migliorare la società.


Non mi azzardo a parlare di democrazia o di progressismo in termini assoluti, perché entrambi sono visioni parziali, incomplete.


Quello che sogno è un dialogo tra queste correnti, un incontro che le faccia collaborare, un movimento di idee che spezzi l’inerzia delle nostre menti.
Perché la politica vera — quella che costruisce — nasce dall’alleanza delle parole e dei pensieri, non dai proclami.

Non leggete queste parole come un messaggio partitico.
Leggetele come una richiesta esemplare di sostegno al mondo.
Un mondo che ha bisogno di cittadini lucidi, di cuori liberi e di pensieri che non si piegano alla menzogna.

Angela Maria Santarosa

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