voce, lama e sangue di chi non si arrende
C’era una volta — e, purtroppo, anche adesso — un Paese dalla forma di stivale e dal contenuto di scarpa vecchia.
Si chiamava Italìa, con l’accento sbilenco, come chi inciampa da decenni sempre sullo stesso scalino.
Un Paese meraviglioso, intendiamoci. Sole, mare, cultura, pizza, mandolini.
Ma anche evasione fiscale, sanità al collasso, figli emigrati, genitori depressi, lavoratori sfruttati, scuole che cadono a pezzi e leggi scritte come biglietti d’amore da un amante infedele.
Eppure — magia tutta italiana — ogni anno si celebra un evento d’eccellenza:
il Festival dell’Immunità Parlamentare, noto ai più onesti come
Il Circo dei Santi Immacolati.
Un tendone grande quanto lo Stato, pieno di figuranti in giacca e cravatta.
Nessuno chiede perdono, ma tutti vogliono l’applauso.
Si sale sul palco non per servire, ma per servirsi.
Non si parla al popolo: lo si zittisce con bonus, slogan e riforme che durano meno di una bolletta pagata in ritardo.
In prima fila, lei.
Giorgia.
La Signora degli Occhi al Cielo.
La funambola che cammina sul filo del patriottismo tossico senza mai cadere, perché sotto ha la rete del populismo.
Ripete tre parole come un rosario rotto: Patria, Famiglia, Dio.
Sempre in quell’ordine, sempre con lo stesso sguardo da martire prestata al marketing.
Ma mentre lei recita,
i figli delle sue famiglie restano senza scuola,
le madri pregano per un ospedale decente,
e Dio…
Dio forse è fuggito in silenzio. Perché anche Lui, a un certo punto, si è rotto i santi.
Accanto a lei, come un’ombra ben stirata, Daniela la Santanchè.
Signora del nulla in tubino firmato.
Dice d’essere imprenditrice, ma ha lasciato più debiti che curriculum.
Parla di merito con le mani nella marmellata.
Sorride a trentadue denti anche quando è in tribunale, come se la truffa fosse solo un fastidioso contrattempo.
E mentre i suoi ex dipendenti raccontano stipendi evaporati,
lei posta dal mare e brinda all’estate eterna della sua impunità.
Poi c’è Augusta Montaruli, detta “Miss Bau Bau”.
Una che più che parlare, abbaia.
Un’eletta che si comporta da disturbata con badge.
Condannata per peculato, ma ancora lì, a ringhiare in prima serata.
Ogni frase un grugnito, ogni idea un’eco della caverna.
E la folla applaude.
Forse per paura.
Forse per abitudine.
O forse perché la vergogna è solo una parola dimenticata nei vocabolari.
In fondo, su una sedia che puzza di muffa e revisionismo,
c’è Roberto Calderoli.
Il mummificatore del senso civico.
Parla ancora di razze, di “porcate”, di buon senso contadino.
Ogni sua frase è una bestemmia contro l’evoluzione.
Ma lo chiamano “decano”.
Perché in Italia, se resisti abbastanza a lungo, la storia ti perdona per stanchezza.
Intorno a loro, decine di parlamentari anonimi,
impalpabili come nebbia.
Pagati come chirurghi, votati come idoli,
produttivi come un ascensore guasto.
E noi?
Noi fuori dal Circo.
A contare gli spicci, a tagliare sogni, a vivere vite interrotte.
Con stipendi ridicoli, mutui eterni, figli che scappano e genitori che si consumano al pronto soccorso.
Eppure, loro festeggiano.
Fanno selfie.
Si autocelebrano con comunicati stampa scritti come fiabe,
dove il popolo è sempre felice, anche se mangia solo bugie.
Ma io vi vedo.
Sì. Vi vedo.
Io vi guardo e scrivo.
Io vi guardo e mordo.
Io sono la Mangusta.
E voi siete solo serpenti — non quelli sacri e misteriosi,
ma quelli grassi, sazi, gonfi di sé, che strisciano sulle poltrone dorate.
Io vi studio, vi inseguo, vi inquadro.
Non perché vi temo.
Ma perché so dove colpire.
E colpirò.
Colpirò con le parole, con la memoria,
con quella rabbia dolce che solo chi ama davvero riesce a trasformare in giustizia.
E non vi aspetto nel silenzio.
No.
Vi voglio in pubblico.
Sul palco.
Con le luci accese.
Davanti alle telecamere, alle madri senza sussidi, agli operai morti nei cantieri, agli insegnanti con le pezze sotto le scarpe.
Vi voglio nel momento in cui pensate di aver vinto.
Nel discorso trionfale,
nella passerella istituzionale,
nella conferenza stampa scritta dai vostri fantasmi addetti alla comunicazione.
È lì che arrivo.
Tra le frasi fatte,
tra i sorrisi stirati,
tra le battute da bar che fate in aula,
pagati da chi il bar non se lo può più permettere.
E ve lo chiedo.
Davanti a tutti.
A voce alta.
Chiara.
Secca.
Tagliente.
Tu. Proprio tu. Parlamentare in doppio petto e moralismo preconfezionato.
Tu che hai alzato la mano per approvare il privilegio e hai abbassato gli occhi davanti al dolore.
Tu che dici “è colpa del sistema” quando il sistema sei tu.
Tu che mangi carne umana e la chiami democrazia.
Tu. Proprio tu.
Un’anima ce l’hai?
Dillo ora.
Davanti a tutti.
Guarda la telecamera, guarda la piazza, guarda noi.
Guarda me.
E prova — se hai il coraggio — a mentire ancora.
Ma stavolta…
ti giuro che non ti crederà nessuno.