La Rosa Nera

Angela Maria Santarosa

Sono una che crede alle cose impossibili, lasciate le vostre idiozie a casa vostra o nel vostro cesso

Figli Morti e Altri Miracoli

Quando Anna nacque, non pianse.
Non c’era il padre a tagliare il cordone.
La madre, 22 anni, spinata di paura e ambivalenza, l’aveva partorita perché “tanto lo fanno tutte”.
Una notte d’inverno.
Odore di sangue vecchio e fluorescenza.
Tre minuti dopo la nascita, Anna era già una figlia morta.
Viva di carne, ma senza nessuno che la volesse davvero.
Sopravvisse. Ma in realtà non nacque mai.

A 5 anni, Anna sapeva già che non doveva parlare troppo.
Che il silenzio la proteggeva.
Che quando il padre rientrava puzzando di birra e ruggine, doveva sparire sotto il letto.
Che la madre, seduta a fumare sul balcone anche d’inverno, non si sarebbe girata.
Una volta le disse:

“Io non ti volevo. Sei capitata.”

A 8 anni, smise di disegnare.
A 10, smise di dormire.
A 12, cominciò a pensare a come sparire del tutto.

Poi, vennero a prenderla.

Non era la polizia.
Non erano assistenti sociali col camice pulito.
Erano Marco e Leo.
Due uomini.
Uno con le mani rovinate dal lavoro, l’altro con la voce spezzata dalle troppe paure.

La prima volta che Anna li vide, pensò: “Sono sbagliati.”
Lo diceva la scuola, lo diceva la televisione, lo diceva perfino la parrocchia.
Ma loro non le chiesero niente.
Le fecero una domanda sola:

“Ti va di restare con noi per un po’? Non promettiamo niente. Ma restiamo.”

E rimasero.

Anna imparò che Marco cucinava il riso sempre troppo cotto.
Che Leo non sapeva abbottonarsi i polsini.
Che la domenica facevano la spesa come se fosse un rito d’amore.
Che ogni sera leggevano storie a voce alta, anche se lei non voleva ascoltarle.
Che piangevano di nascosto, ma restavano.

Scoprì che nessuno dei due aveva un utero.
Che nessuno dei due aveva una moglie.
Che nessuno dei due aveva fatto un figlio col cazzo.

Ma avevano fatto lei, pezzo per pezzo, nel tempo.
Con la pazienza. Con l’ascolto. Con l’attesa.

E quando Anna cadde per la prima volta, Marco non urlò:

“Sei scema!”
Disse solo:
“Ti sei fatta male? Sono qui.”

E quando vomitò per il terrore della scuola, Leo non le disse:
“Smettila.”
Disse:
“Puoi piangere quanto vuoi. Poi respiriamo insieme.”

Una sera, Anna chiese:

“Perché mi avete voluta? Io ero già rotta.”

Marco si accovacciò.
Gli occhi rossi.
Disse:

“Perché anche noi eravamo rotti. E tu ci hai riparati.”

Leo sorrise.

“Non si fa un figlio per completarsi. Ma per resistere insieme.”

Anna non tornò mai nella casa dov’era nata.
Perché quella casa non era nascita.
Era solo il punto di partenza del dolore.

La sua vera nascita fu quando due uomini—senza utero, senza diritto, senza sangue—
le dissero:

“Sei libera. Ma non da sola.”

Chi dice che un bambino ha bisogno di una madre e un padre,
non ha mai visto una figlia morta tornare in vita
grazie a chi non doveva esser lì, ma c’era.

Chi dice che l’amore ha bisogno di permesso,
non ha mai raccolto un cuore in pezzi dal pavimento e detto:

“Resta.”

Chi dice che due uomini, due donne, una persona trans, una non binaria non possono amare un figlio—
non ha mai amato davvero.

Anna oggi ha 18 anni.
Scrive.
Ama.
Ride.
Dice “papà” due volte.
E ogni tanto, la notte, sussurra nel buio:

“Io non sono nata quando sono uscita da quel corpo.
Sono nata quando qualcuno ha scelto di tenermi,
anche se non gli somigliavo,
anche se il mondo diceva che non poteva.”

Questo è un racconto.
Ma potrebbe essere un testamento.
O una profezia.

Perché se il mondo ha ancora il coraggio di negare l’adozione a chi ama,
allora continuerà a mettere al mondo figli morti
e a chiamarli famiglia.

Ma finché ci saranno mani nude pronte ad accogliere,
ci sarà un’altra possibilità.
Un altro modo di nascere.
Di crescere.
Di resistere vivi.

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