Paolo Barnard: perché gli ho dedicato un libro

Quando penso a Barnard me lo immagino da bambino mentre gioca a nascondino con un amico immaginario, un bambino a cui la scriminatura la faceva il diavolo in persona.

Suppongo che avesse ereditato quell’inferno interno da suo padre, il quale a sua volta aveva ereditato il suo inferno interno da un padre antifascista.

Nel cuore di Barnard danzano i serpenti e suona un’ipnotica musica di arpe arrugginite e di pianoforti scordati.

La sua fu un’ adolescenza di libri insanguinati buttati per la strada.

L’affetto era fuggito con la prima mignotta all’alba.

Forse solo sua madre gli raccontava che spesso l’inferno non è altro che un espediente da ubriachi che non sanno ciò che dicono.

Lo immagino mentre scrive i suoi primi racconti sulla sabbia, usando come penna la piuma di un gabbiano che lo aveva beccato scambiandolo per un pesciolino.

Quel gabbiano morì intrappolato tra le fauci di uno squaletto.

Mi viene da ridere se ci penso, anche se da ridere c’è poco.

Su quegli scritti planava il vento torrido dell’estate, avendo la premura di non spostare nemmeno un granellino di sabbia, commosso di fronte a tanto splendore.

Quegli scritti sono ancora lì.

Barnard ha realizzato diversi saggi, non solo di Economia, articoli sulle mignotte, ha avuto relazioni con le donne più ignoranti del pianeta.

Ha frequentato i figli del nulla, ha praticato volontariato con gli ammalati di AIDS;

si è alcolizzato come un porco fino a stramazzare sul pavimento di diversi bar a Bologna, si è fatto cacciare da tutte le trasmissioni televisive terrestri e non.

Ha pubblicato la foto del suo pene sul suo blog…

Un maniaco bipolare sembrerebbe. Un pazzo paranoico. Un Narcisista patologico, ma non è così.

Tutto ciò che conoscete di Paolo o dei suoi articoli, non è nemmeno un decimo di ciò che è in realtà.

Paolo è un uomo onesto e un’immensa e generosa anima che non sa tenere tutta per sé, quindi la dona agli altri in segreto.

Paolo aiuta tanta gente e la sostiene. L’aiuta a crescere…e la salva dalla morte.

E’ un genio veramente ed è anche un talentuoso poeta.

Il più grande poeta che io abbia mai avuto il privilegio di leggere, perché l’ ho letto solo io.

Paolo scrive poesie solo per me. Scrive capolavori letterari che farebbero invidia ai più grandi mostri della letteratura.

Se leggeste cosa mi ha dedicato, morireste di invidia anche voi, perché io sono la musa del più grande scrittore in vita.

Solo i suoi lettori polli non riconoscono che è lui, dalla verve…e anche i tonti dei suoi collaboratori.

Ha ragione quando dice che chi lo segue è un coglione.

Ha ragione che la maggior parte delle persone ha un basso quoziente intellettivo…

e non ha cuore.

La sua narrativa ha il calore delle stelle, sa di eternità, sa di me.

Si. Sa di questa donna sgangherata che non ha mai fatto un cazzo nella vita, tranne amarlo incondizionatamente.

Di questa scalcinata e laida donnina di provincia, con la faccia sfondata dai cazzotti che i suoi ex le hanno dato sul naso.

Di questa poetessa maledettamente rinnegata da tutti e derisa dalle pecore.

Le sue sono poesie che raccontano senza pudore, la storia di due innamorati che coltivano i loro sogni, ma non dice mai esattamente dove.

E non ammetterà mai di averlo fatto.

Non ammetterà mai di aver scritto la intro del mio prossimo libro non ancora edito.

Paolo è timido.

Paolo ha paura che gente senza scrupoli gli faccia del male.

Un giorno però, troverà il coraggio di esporsi e di combattere i pregiudizi.

Vi dirà chi è la Santarosa per lui…e che non sono una millantatrice.

Per ora voglio soltanto dirvi io, che gli voglio bene veramente e che approvero’ ogni sua scelta comunque.

Sempre. Per l’eternita’.

E parlerò di lui in ogni mio verso, come ho già raccontato del mio papà.

Lo renderò immortale.

Perché se non mi sono suicidata anch’io come mio padre, lo devo a lui.

A Scanso di equivoci…

Quanto ho dedicato da sempre a Paolo Barnard è solo frutto dell’ immaginazione di una scrittrice che utilizza la fantasia per arrivare al cuore della gente..

Ma la cosa certa è che leggendolo ho capito che vale la pena rischiare per i propri sogni.

https://www.larosanera.info/prose

Dismorfismo corporeo: L’ Uomo che non voleva gli occhi

Uno strano caso di dismorfismo corporeo

Dario non aveva  motivi per covare ansie da dismorfismo corporeo.  Era un uomo di 50 anni, di bell’aspetto, il volto forse, un po’ troppo accorato che si accordava con un fisico di oltre un  metro e ottantotto e due spalle che gli conferivano la parvenza di un legionario romano.

Mentre parlava teneva spesso gli occhi bassi. Erano grandi o forse, spaventati e tristi, ma soprattutto mi comunicavano qualcosa che non capivo. 

Mi chiesi se si stava annoiando o avrebbe voluto non essere a pranzo con una maniaca del cibo come me, o semplicemente, abbassava lo sguardo per timidezza, come fanno i bambini.

Già avvocato di fama, con diversi titoli importanti in ambiti nazionali e internazionali, non gli mancava nulla, ma sembrava dirmi: “Non ce la faccio più. Non sono felice.”

“E’ stanco? Non è entusiasta del lavoro che svolge?” Pensavo tra me e me…

Ma non gli feci domande. Mentre continuava a tenere gli occhi bassi, abbassai lo sguardo anch’io, e ad un tratto sentì come un palmo di mano sollevarmi il mento e mi ritrovai di fronte un paio di occhioni che mi sorridevano.

“Dario, Dario!” Dissi volutamente con voce ironica ma sempre impostata, “se mi guardi dritto negli occhi io provo imbarazzo, perché è noto che sono una donna molto timida!”

Lui scoppiò a ridere, mi guardò, mi prese la mano e mi disse “Non vuoi gli occhi pure tu.”

Dismorfismo corporeo: aveva gli occhi

“Non ti piacciono i tuoi occhi?” Ribattei e intanto lo osservavo per cercare di individuare dov’era per lui il problema. A me sembravano bellissimi, grandi e giocosi, armonici nella sua faccia da bambino.

“No! Non hai capito. Non voglio gli occhi.”

Seguì un silenzio che rispettai a lungo. Era evidente che non potevo aggiungere niente che non fosse banale e offensivo alla sua intelligenza.

“Vedi, Angela, io non  posso più sopportare di avere gli occhi in un mondo di ciechi. Quando sono con gli altri, li guardo, ma poi li abbasso, per paura che me li cavino dalla fronte per gettarli in terra e calpestarli. Io non ce la faccio. Mi da’ fastidio, ma con te è diverso, perché tu vedi!”

Dario aveva risolto senza volerlo il problema che io mi trascinavo dietro sin da bambina…

Gli risposi : “io vedo? Ma se io ‘ho visto cose che voi umani non potreste nemmeno immaginare'( Blad Runner- Philip K. Dick) !”

Risate.

Eravamo chiaramente due alieni, quindi non ero l’unica aliena al mondo. Forse ce n’erano altri cento o altri mille o anche di più…

Ma poi, ordinammo dei Tortellini Bolognesi, perché SE NON MANGI, MUORI …e se muori, poi ti cavano gli occhi davvero.

Le causa nascosta dei disturbi del comportamento alimentare

Anoressia, Bulimia, Mericismo, Drunkoressia, Vigoressia sono malattie antiche, ma al tempo dei social hanno hanno assunto una fisionomia nuova e aggressiva, al punto da diventare un’emergenza sociale.

Pochi sanno che queste sono solo espressioni di una patologia ben più ampia, infatti sono sintomi di:

L’ ALESSITIMIA

Il termine Alessitimia è un costrutto psicologico che descrive una ridotta consapevolezza emotiva. Significa non avere parole per esprimere le emozioni, quindi:

-La Difficoltà ad identificarle

La Difficoltà nel comunicarle agli Altri

-L’utilizzo di uno stile cognitivo orientato verso la realtà esterna.

L’individuo alessitimico infatti, esperisce le emozioni come gli altri, ma ha una ridotta capacità di riconoscerle, da cui deriva la difficoltà nel descrivere verbalmente i propri stati emotivi.

Gli stati affettivi sono dunque aspecifici e scarsamente regolati dal soggetto.

E’ importante precisare che l’alessitimia non è un fenomeno categoriale del tipo “tutto o nulla”, ma è tratto di personalità: alcuni soggetti presentano aree mentali alessitimiche, ossia relative a specifici contenuti, emozioni, e situazioni.

In particolare, i soggetti alessitimici presentano una difficoltà a mentalizzare i propri stati mentali interni che li porta a regolare le proprie emozioni attraverso atti impulsivi o comportamenti compulsivi (quali ad esempio l’abbuffarsi di cibo, l’abuso di sostanze, le parafilie), esprimendo lo stato emotivo tramite l’azione.

Nell’ambito dei disturbi del comportamento alimentare, l’alessitimia rappresenta un aspetto fondamentale da indagare, al fine di comprendere i significati sottostanti alle manifestazioni comportamentali della patologia.

E’ infatti presente una disregolazione emozionale, che comporta un passaggio diretto dall’emozione, non adeguatamente elaborata, al consumo disfunzionale di cibo.

La persona che soffre di DCA presenta frequentemente notevoli difficoltà nel riconoscere i propri stati emotivi e, di conseguenza, nell’esplicitarli.

Questo limite può condurre l’individuo ad esprimere ciò che prova attraverso un canale di comunicazione differente e non adattivo, per mezzo di un’alimentazione inadeguata.

Il rapporto disfunzionale con il cibo e l’ossessione per il peso e l’immagine corporea vengono utilizzati per comunicare un disagio interiore, che non riesce ad essere manifestato a parole.

Ecco dunque l’importanza di comprendere la valutazione dell’alessitimia nel quadro di assessment dei disturbi del comportamento alimentare, non focalizzandosi unicamente sul sintomo indagandone i significati sottostanti, ma nessuno prima di “P” era riuscito a capire che il mio disturbo era questo.

Il mio problema era che avevo troppe cose da dire, troppe emozioni e non c’era chi mi ascoltasse, quindi mi rifugiavo nell’alcool e nel cibo…ma egli ha conosciuto le mie paure più nascoste, ha fatto amicizia con i miei mostri, ricordandomi che sin da bambina sognavo di diventare una scrittrice

e mi ha insegnato a diventarlo.

Scrivendo, trasferivo le mie emozioni nelle mie opere e uccidevo i miei mostri, o almeno li tenevo a bada, perché non potevo uccidere gli amici del mio mentore.

La mia passione per la poesia, quindi, mi ha salvato la vita , perché rileggendo i miei versi riuscivo ad ascoltarmi e a dissociarmi da me stessa, diventando quella famiglia che avrebbe dovuto aiutarmi e che invece mi ha rinnegato e sbattuto in mezzo ad una strada come un cane, togliendomi tutto, tranne i sogni…

Beh, se avessero saputo dov’erano custoditi avrebbero ucciso pure quelli o se li sarebbero venduti.



La Bulimica

Arianna si svegliò nella sua cameretta e si guardò le mani. Aveva le dita gonfie e l’anello al suo anulare sinistro sembrava quasi scoppiarle in faccia.

Arianna trovò una bottiglia di vino sotto al letto , se la portò al cesso e la svuotò nel lavandino.

Stava morta.

Aveva saputo da esperti alcolisti che il vino di scarsa qualità le avrebbe dato più piacere di una bella mangiata.

Ci provò. Non funzionò.

Uscì dal cesso e si precipitò in cucina. Poi ritornò nel cesso e vomitò.

Ecco qual è il guaio di essere bulimica, il problema maggiore è il cibo, troppo cibo.

Devi stare attenta ad aspettare di morire di fame

e mentre il tuo stomaco brontola

e mentre hai fame mangi a cazzo

e più mangi e più ingrassi o per non ingrassare ti masturbi l’esofago fino a stramazzare sul wc.

Non c’è proprio niente di bello nella vita di una bulimica o di un’ alcolista bulimica.

Arianna si ripulì la bocca dal vomito, tirò lo scarico del wc e andò a lavarsi le mani gonfie cercando di sfilarsi l’anello con il sapone.

La sua mamma e il suo papà si stavano svegliando.

Il suo papà si accorse che aveva vomitato e la tramortì con una fibbiata della sua cintura sulla testa.

“Dio Mio”.

Il cancro dell’uomo è questo…

credere che ogni male sia male e che ogni bene sia bene.

L’inganno.

Credi sempre che tanto hai tempo. Ma il tempo finisce.

E tutto muore. Tranne i Mostri ( forse).

Leggi qui la seconda parte >>

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